NYC

Ho fatto scalo a New York parecchie volte senza mai visitare la grande mela. Quest’anno, al rientro dopo due settimane a Pullman, ho deciso che era il momento di mettere il naso fuori dal terminal. E’ oramai qualche anno che non vado in vacanza da solo (Patty, la mia compagna, eccelle nell’organizzazione delle vacanze) e ho voluto provare a vedere se ero ancora in grado di muovermi da solo senza usufruire di taxi e altri facilitatori che utilizzo quando viaggio per lavoro. Patty mi avrebbe raggiunto il giorno dopo, quindi il rischio era ben calcolato. Arrivo quindi all’aereoporto con una valigia dal peso imbarazzante (molto materiale raccolo nelle due settimane a Pullman), lo zaino della macchina fotografica (pesantuccio anche lui, il 100-400 non è una piuma) e la sacca del treppiede. In pratica sembro uno sherpa. Il “La Guardia” è in fase di ristrutturazione per adeguarlo finalmente al terzo millenio; acquisto facilmente i biglietti per la metro con la tariffa scontata per più giorni e salto sul bus che mi porta alla metro. Mi rendo immediatemente conto che la maggior parte delle stazioni della metro non e’ dotata di scale mobili, che i tornelli sono stretti e che la mia mastodontica valigia spesso non ci passa attraverso. Mi sembra di essere in una foresta tropicale visto la percentuale di umidità; salgo quindi su un treno dove l’aria condizionata mi proietta immeditamente al polo sud. Sono sudato come un minatore e rischio immediatamente la polmonite. Prendo il treno nella direzione sbagliata il che comporta altre scale con i bagagli. Inverto la direzione ed arrivo a Manhattan. Scopro che la linea “Red” che si ferma nei pressi della stanza prenotata con AirBnb è chiusa per lavori e ripiego sulla “Orange”. Anche questo comporta un certo numero di saliscendi ed una interminabile camminata tra la stazione di Time Square e quella della 42esima (Port Autorithy). Sono stremato ed imparo sulla mia pelle la differenza tra i treni normali e gli espressi. Prendo quest’ultimo che ovviamente salta la fermata sulla 86w, scendo alla 125 e inverto di nuovo la rotta. Anche qui altre scale ma finalmente esco in superficie. Da una parte Central Park, dall’altra la strada con le pensiline degli hotel che mi proietta immediatamente in una delle mille serie TV ambientate in città. Attraverso qualche isolato continuando a trascinare i bagagli e arrivo finalmente davanti a casa. Il padrone di casa mi ha inviato le istruzioni per trovare la chiave racchiusa da un lucchetto a combinazione. Io mi convinco che debba trovarsi attaccatto alla ringhiera che delimita l’aiuola che ho davanti ed ovviamente non lo trovo. Leggo e rileggo le istruzioni ed inizio a lasciarmi prendere dallo sconforto. Dopo aver fatto avanti e indietro tre o quattro volte un signore che si stava gustando la scena mi chiede se ho bisogno di aiuto. Scopro che si tratta di un italiano che lavorava a Milano e che si è trasferito a NY negli anni 60. Conosce bene il padrone di casa e mi fa vedere dove si trova il lucchetto, ovviamente a non più di dieci centimetri dalla porta di casa…. Mi maledico ma sono felice di avercela fatta , peccato solo per le ultime quattro rampe di scale strette come se fossi a Portovenere e che per la mia stanza in realtà è un materasso posizionato nell’ingresso di casa. Resto immobile su una sedia in cucina ma continuo a sudare per almeno 20 minuti; faccio una doccia e vado a gustarmi la prima bistecca sulla Broadway, dopo dieci minuti mi sembra di averci sempre vissuto. Mentre torno verso casa compro un paio di birre da mettere in frigo in un negozietto h24 che me le passa in un sacchetto di carta ricordandomi che passero’ i prossimi giornio in un telefilm. NYC è amore a prima vista; si posso ancora viaggiare da solo, ma con Patty è meglio!