Strada delle 52 Gallerie

Da Bocchetta Campiglia (mt 1219) a Porte del Pasubio (mt 1934) costruita dalla 33^ compagnia minatori del 5° reggimento Genio con l'ausilio di sei centurie di lavoratori: 349°, 523°, 621°, 765° e 776°. Comandate dal Capitano Corrado Picone nel periodo Febbraio - Dicembre 1917. Lunghezza totale mt 6555 di cui mt 2280 in 51 Gallerie.

Il muro vinaccia, in stile razionalista, annuncia “52 gallerie”, e suggerisce che quella che ti aspetta sia un’opera monumentale, fredda: razionalista, appunto.

Che delusione.

Niente di più sbagliato- ma per scoprirlo bisogna percorrere qualche centinaio di metri.

Oltre il muro si passa attraverso un tornello, azione che dà il senso di aver compiuto una scelta da cui indietro non si torna, cosa che aumenta il sottile nervosismo di chi non ha mai percorso questa strada e ne ha letto tanto, facendosi mille domande: sarà davvero larga due metri? Sarà esposta? E le vertigini?

E allora via, si comincia a camminare per un sentiero con una pendenza pressochè costante, che ti farà salire di 800 metri quasi senza accorgertene, come tanti alpini e muli prima di te – ma ben più carichi e con ben altro spirito.

Ed ecco che, dopo qualche centinaio di metri, si arriva all’imbocco della prima galleria: pare l’ingresso a uno dei templi di Petra, e la sensazione di delusione inizia a dissolversi.

Ma è solo con la seconda galleria che si comincia ad apprezzare la bellezza struggente di questa strada, strappata alla montagna con dinamite e piccone; e se poi pensi che è stata realizzata d’inverno, in uno degli inverni più rigidi nel Novecento, l’ammirazione cresce a dismisura.

Ogni galleria ha una sua personalità; ci sono quelle brevi, che si lasciano attraversare senza accendere la torcia, e quelle che a metà regalano una finestra improvvisa sulla vallata; e poi ci sono quelle così lunghe che a metà, se spegni la luce, provi la sensazione del buio assoluto, e un brividino infantile ti sale lungo la schiena; e che dire della più lunga di tutte, quella elicoidale, che tu cominci a contarne i tornanti e poi ti perdi, e meno male che leggi che sono quattro, perché tu ne avevi contati tre, o forse cinque, non sai, perché anche se ti ripeti che sei in una galleria scavata a mano, in tempo di guerra, una parte di te ti urla “che figata, che figata!”, e sei risucchiata in una giostra, non importa quanti anni tu abbia, e davvero non ti importa più di metri, masse, volumi, tornanti, ma ti abbandoni al piacere di girare in tondo nel buio fresco e frizzantino, ipnotizzata dal puntino luminoso che la torcia proietta davanti a te, e che ti invita a proseguire, pifferaio di Hammelin cui ti abbandoni con allegria.

 

E poi, a due terzi del cammino, c’è un lungo tratto di sentiero senza gallerie, aereo che sembra una ferrata, ma magico, perché se guardi in avanti non ti fa paura; è solo se ti volti a guardare indietro che ne vedi l’esposizione, e l’inquietudine comincia a serpeggiare, ma tu ti volti e prosegui, in un paesaggio da Storia Infinita, pieno di verde da cui si innalzano sottili pinnacoli rocciosi, Il Bryce Canyon in mezzo al bosco, e se invece c’è la nebbia non importa, è bello uguale, perché allora cammini sul nulla, trapezista sospeso su un filo di roccia.

 

 

E alla fine si arriva al Rifugio Papa, giallo come un enorme fiore accogliente, per poi scendere lungo la Strada degli Scarubbi, dove il panorama è forse ancora più selvaggio e lo si può godere con più tranquillità, perché lì la strada è davvero larga e tranquilla; e allora un pensiero va ai soldati che la percorrevano di notte, sui camion a fari spenti, e tutto doveva essere tranne che divertente…

 

E poi, come tutte le cose belle, anche la gita finisce, e ti ritrovi davanti al muro razionalista: che, dopo tanta bellezza ed emozione, quasi quasi ti piace perfino un po’.