Atterriamo in piena notte, nel buio pesto che ci impedisce di apprezzare la manovra precisa del comandante (ci vuole un patentino speciale per poter affrontare questo atterraggio), ma la ragazza seduta accanto a noi, col suo nervosissimo segno della croce, ci ricorda che questa è la pista più pericolosa d’Europa.

Ma è tardissimo, siamo stanchi e fatalisti, e non ci lasciamo indurre in preoccupazione.

Qualche segno della croce dopo eccoci a Madeira, l’isola giardino - l’Eden sulla Terra: evviva, siamo pronti!

Il mattino seguente, dopo una memorabile colazione a Santa Cruz, con la nostra Panda a noleggio ci dirigiamo verso quella che sarà la prima e la più breve delle nostre passeggiate: la Vereda dos Balcoes de Ribeiro Frìo, un percorso pianeggiante che, immergendosi in un bosco fiabesco, conduce a un balcone panoramico che dà sui monti più alti dell’isola, quelli che ci aspettano per il trekking dell’indomani. Sulla ringhiera della balconata, e sugli alberi lì intorno, alcuni uccellini, a dire il vero nemmeno troppo timidi, attendono che i visitatori offrano loro semini e molliche di pane, mentre un gatto, acquattato in mezzo ai cespugli, attende speranzoso un loro passo falso.

Tornati dalla passeggiata, dopo un pranzo eterno (siamo pur sempre in Portogallo, dove la lentezza è uno stile di vita), ci dirigiamo verso nord, a esplorare un tratto di costa: non è tanto la costiera a colpirci, quanto le strade per arrivarci: saliscendi continui, che mettono a dura prova la nostra vetturetta, ma sempre e costantemente fiancheggiati da fioriture sontuose, fra cui spiccano magnolie, gigli, nasturzi e pannocchie di fiori blu.

Alla sera torniamo a Santana, nell’accogliente monolocale che sarà la nostra base per due notti.

Ed eccoci al secondo giorno, e al sentiero che unanimemente viene dichiarato il più bello di Madeira: quello che unisce la vetta del Pico do Areeiro (raggiungibile in auto) con quella del Pico do Ruivo.

Quando raggiungiamo il Pico do Areeiro, sotto di noi l’isola è scomparsa in un mare di nubi.

Cominciamo a camminare, scavalcando un bel nastro bianco e rosso che sbarra l’attacco del sentiero (il nostro ospite ci aveva avvisati che il sentiero è chiuso, soggiungendo che però gli escursionisti ci vanno comunque; come da copione, io dico che allora non c’è problema, e come da copione Giorgio brontola e si lamenta mentre iniziamo il percorso; tenta anche la carta delle vertigini, ma dopo un po’ il tracciato, sempre contornato da una corda di sicurezza, lo convince a proseguire).

Come descrivere questo trekking di 16 chilometri di lunghezza e 900 metri di dislivello, molto aereo, che a volte si snoda sulla cresta della montagna e a volte è scavato nella roccia, che sale e scende da scale e scalette, attraversa un canyon, offre panorami fantastici sulle cime tutto attorno e su versanti gialli di ginestra, e passa su un sentiero finemente lastricato dall’inizio alla fine?

Forse Giorgio rende l’idea, quando sbotta: “Belin, sembra la passeggiata di Nervi in quota!”.

E allora pazienza se fa un caldo da morire, se a metà percorso troviamo due volatili (pernici?) ancora meno timidi degli uccellini del giorno prima che, nella foga di prendere i crackers che porgiamo loro, ci mollano una beccata che ricorderemo per un po’, e pazienza se arrivo alla fine del trekking così palesemente esausta che un ragazzo mi sorride e mi fa un applauso…

Questo sentiero, molto semplicemente, è il sogno proibito di ogni amante della montagna.

 

Terzo giorno: Levada do Caldeirao Verde, una delle levadas più popolari di Madeira, e infatti vi incontriamo parecchi escursionisti.

Il sentiero, accanto alla levada che ci accompagna con un piacevole gorgoglìo per tutto il tempo, si immerge in una foresta così rigogliosa da dare l’impressione, in alcuni tratti, di trovarsi nella jungla amazzonica; si attraversano anche diversi tunnel scavati nella roccia, ognuno con una propria fisionomia, per poi arrivare a una cascata che si tuffa in un laghetto verdissimo (da cui il nome della levada).

Qui la maggior parte degli escursionisti si ferma, ma noi proseguiamo per la Levada do Inferno: dopo un paio di chilometri in piano, troviamo delle scale ripidissime, composte da scalini decisamente alti (non sapevo che i Maya fossero passati da Madeira) che passano accanto ad una bellissima cascata.

In cima alle scale ci aspettano due lunghissimi tunnel, che portano a una stretta gola e ad un’altra cascata; qui Giorgio si ferma, mentre io decido di proseguire e, dopo qualche altro tunnel, arrivo alla testa della valle, in un luogo che chiaramente di solito ospita una cascata, ma che purtroppo è in secca (brutto segno, essendo a giugno).

Giro sui tacchi e raggiungo Giorgio.

Alla sera, dopo la mia dialisi, ci spostiamo per raggiungere Ponta do Pargo, dove faremo base per le prossime tre notti.

 

Ed eccoci al quarto giorno: oggi niente camminate, giornata di relax; partiamo quindi alla scoperta del nord-ovest di Madeira in auto.

La prima sosta è per il Miradouro da Boa Morte, che ci attira per il nome evocativo: di per sé non ha nulla di particolarmente interessante, giusto forse la chiesetta accanto alla quale si parcheggia, ma veniamo premiati con un arcobaleno sdraiato sul mare: bellissimo, mai visto un arcobaleno stravaccato in quella posizione!

Ci fermiamo poi al Miradouro do Teleferico das Achadas da Cruz, “teleferico” che, per l’estrema pendenza, sembra più un ascensore: ad avere molto fegato, l’ovetto porta rapidamente alla spiaggia che si trova 500 metri più in basso (500 metri praticamente verticali!). Bello da vedere – e infatti noi ci fermiamo all’osservazione.

Intanto comincia a piovigginare, per cui risaliamo in auto e facciamo rotta verso Porto Moniz e le sue piscine naturali: a sinistra quelle a pagamento (ben 3 euro a testa), che sembrano le gemelle povere della Laguna Blu di Reykjavik; a destra, un po’ meno visibili, quelle gratuite, che però ci ispirano di meno in quanto, passeggiando attorno al bar interno, notiamo che il fondo delle insenature in cui ci si può immergere è completamente ricoperto di alghe.

Il tempo uggioso, comunque, non invita a una conoscenza più ravvicinata delle piscine, e così riprendiamo l’esplorazione del tratto a noi ancora sconosciuto della costa nord.

Dopo le piscine di Seixal (che però, a differenza di quelle di Porto Moniz, non sono un tratto di oceano completamente racchiuso da un muretto, ma semplicemente una sorta di porticciolo naturale che gli scogli, integrati da una barriera artificiale, difendono dalla furia dell’oceano - lasciando fuori dal loro abbraccio un varco piuttosto grande), proseguiamo quasi fino a Ponta Delgada, punto finale dell’esplorazione del nostro primo giorno sull’isola.

Da lì torniamo indietro, ma stavolta passiamo per quel che resta della vecchia strada costiera che faceva il periplo dell’isola, una strada a picco sul mare che adesso è chiusa (e non si fatica a capire perché: è ancora ben asfaltata, nei tratti ancora percorribili a proprio rischio e pericolo, ma per verificarlo bisogna scostare il fitto tappeto di roccette e massi che la ricoprono, tappeto caduto dalla montagna soprastante: un vero peccato, perché questa è una strada davvero bellissima).

Ci fermiamo a osservare i faraglioni, e poi decidiamo di fermarci a pranzo in una brasserie. Nota culinaria: a Madeira i carboidrati vengono completamente ignorati (a parte l’onnipresente bolo do caco, ovvero pane sulla cui superficie viene strofinato aglio in quantità variabile – a differenza delle nostre bruschette, però, il pane non viene tostato), per cui si mangiano quasi esclusivamente carne e pesce.

Oggi scopriamo che, in tutti i locali che si rispettino, i tavoli sono sormontati da un filo metallico a cui si appendono le espetadas, ovvero i giganteschi spiedini che vengono serviti su quest’isola dove tutto è esagerato: spiedini costituiti da pezzi di carne, rigorosamente monotipo, infilzati su spiedi che ricordano da vicino i fioretti dei film di cappa e spada.

Dopo pranzo torniamo a casa per una pennichella, e nel tardo pomeriggio facciamo un salto al Miradouro da Garganta Funda, che permette di osservare una cascata: alta, sì, ma con una portata decisamente ridotta.

Ci dirigiamo poi al faro di Ponta do Pargo, magnificato da un sacco di visitatori per il suo incomparabile paesaggio: noi non lo troviamo così incomparabile, ma abbiamo la fortuna di vedere due arcobaleni paralleli che, dalla sommità della scogliera - in questo punto piuttosto alta - si tuffano in mare: questo sì che è uno spettacolo da ricordare!

Andiamo poi a cena in un ristorante poco distante, l’ “O Fìo”, situato nell’omonimo punto panoramica; ci piacciono talmente tanto, sia il panorama sia il ristorante, che decidiamo di tornare anche la sera successiva. Dopo cena due passi per goderci il panorama e poi di corsa a casa, perché domani ci aspetta un altro fantastico trekking.

Quinto giorno: tempo uggioso, decisamente freddo (11°), e nuvole basse, che appena scendiamo dalla macchina cominciano a scaricarci addosso un bel po’ di pioggia: ma la Levada dos Cedros si addentra in una foresta di Laurisilva talmente fitta che al suo interno siamo pressoché completamente protetti.

Questa non è una delle levadas più popolari dell’isola, ma a noi piace moltissimo, perché è un po’ come la vita: non c’è un punto d’arrivo particolarmente bello, che ti ripaghi della fatica del cammino, ma è il cammino stesso a ripagarti, perché ti offre la possibilità di avanzare nel bosco delle fiabe.

Al termine della gita, fuori dal bosco, ci morde un vento teso e gelido che spazza l’altipiano e i cespugli di ginestra che orlano la strada asfaltata; decidiamo così di raggiungere Porto Moniz, che si crogiola al sole caldo; a questo punto ne approfittiamo, dopo il meritato pranzo, per tornare a guardare con molta cautela le piscine, e decidiamo eroicamente di entrare a visitarle il giorno dopo, una volta rientrati dalla Levada das 25 fontes.

Sesto giorno: parcheggiamo alle 9.00 del mattino e facciamo a piedi i due chilometri in discesa che ci separano dall’attacco della Levada das 25 fontes, decisione che si rivelerà strategica perché ci permetterà di avere la Levada pressoché tutta per noi, nonostante sia il percorso più popolare di Madeira; la stragrande maggioranza degli escursionisti, infatti, arriverà al parcheggio intorno alle 10.00, ora in cui prende servizio la navetta che permette di arrivare con comodità alla partenza del sentiero, che dopo molti scalini in discesa raggiunge la levada e spiana.

Anche qui, non è tanto il lago con le sue cascatelle - che ci attende alla fine della levada- a colpirci, quanto il sentiero, coperto da un tetto di rami che ne fa una sorta di percorso trionfale, che costeggia la condotta forzata racchiusa da un muretto interamente coperto di muschio, alto circa un metro (a differenza di tutte le altre levadas, che scorrono nel terreno). Bellissimo!

Terminata l’escursione ci dirigiamo alla Cascata do Risco, molto alta e bella, dietro alla quale un tempo si poteva passare: adesso, dopo un incidente mortale, l’ultimo tratto del sentiero è chiuso e la cascata si può ammirare solo da lontano, in mezzo alla valanga dei turisti che nel frattempo sono arrivati con la navetta.

Un po’ delusi torniamo alla macchina e ci dirigiamo alla volta delle piscine di Porto Moniz, muniti dell’asciugamano che la nostra squisita padrona di casa, nonostante il fatto che abbiamo già fatto il check-out, ci ha imprestato per l’occasione. Che dire? Da dentro non sembrano più le parenti sfigate della Laguna Blu islandese, bensì una delle esperienze più divertenti che io abbia mai fatto.

Ci immergiamo non senza sofferenza nell’acqua a 19°, ma poi raggiungiamo la parte della piscina separata dall’oceano da un semplice muretto, raso-acqua, e io attendo trepidante un’onda più alta delle altre che lo oltrepassi.

“Ehi, Gio, che ne dici di questa?”

“No, questa assolutamente n..”

SCIAF!!!!

Bevo, poi tiro fuori la testa per sottolineare l’abilità di Giorgio nel valutare la forza delle onde, ma SCIAF!!! una seconda onda ci travolge. Fighissimo, anche se bevo di nuovo.

Per i successivi 5 minuti proviamo a ritornare al muretto, ma nuotiamo sul posto, come nei cartoni animati: epperò, l’oceano!

Restiamo ancora un’oretta a goderci le piscine e le onde che si infrangono sugli scogli, appena al di là del muretto perimetrale; alla fine, a malincuore, le abbandoniamo per dirigerci a prendere possesso della casa, a Machico, che ci ospiterà per le nostre ultime tre notti sull’isola. E qui ci attende l’ultima sorpresa della giornata: all’appartamento si accede dal garage, come in un fumetto di Batman o di Diabolik: che forte!

Settimo giorno: oggi gita alla Ponta de Sao Lourenco, un promontorio molto affascinante perché a picco sul mare, completamente diverso dal resto dell’isola in quanto totalmente privo di vegetazione.

Fa molto caldo, ma arriviamo comunque fino alla fine del percorso, che si conclude con una scalinata che avrebbe urgente bisogno di manutenzione e ci conduce in alto, dove la vista spazia, e dove su alcune rocce vivono e litigano decine e decine di lucertole: tre di loro si tuffano nello zaino che Giorgio ha incautamente posato a terra aperto, e per convincerle ad uscire dobbiamo usare molta ma molta arte della persuasione.

Terminata l’escursione, e abbastanza provati dal caldo, ci dirigiamo al mercato di Funchal, dove un paio di venditori molto aggressivi ci apostrofano, al limite dell’educazione, perché facciamo compere da loro; il mercato, forse per questa atmosfera poco rilassata, non ci ammalia, per cui dopo pochissimo tempo usciamo a fare un giro nella zona vecchia di Funchal, carina ma ormai completamente turistica.

Intanto si è fatta l’ora della dialisi: Giorgio mi accompagna in ospedale e prosegue per la cena. Domani ci attende il gran finale delle nostre vacanze!

Ottavo giorno: ci alziamo presto per arrivare in tempo all’appuntamento, a Calheta, con i ragazzi di H2O, che ci porteranno col gommone a cercare balene e delfini. Abbiamo scelto Calheta, benché ben più distante di Funchal, perché da lì gli unici a partire sono i ragazzi di H2O, mentre dal capoluogo i tour si sprecano: e in effetti questa si rivela un’ottima scelta, perché siamo l’unica imbarcazione in mare fin dove lo sguardo si perde, e i delfini, che non tardiamo ad incontrare, sono tutti per noi: che spettacolo!

Non solo nuotano ai lati del gommone, così vicini che se ci si sporgesse li si potrebbe toccare, ma fanno numeri di nuoto sincronizzato sotto la prua, mentre noi avanziamo a una discreta velocità. Stiamo con loro quasi due ore, e quando rientriamo le nostre guide lanciano il gommone a tutta velocità per farci divertire – obiettivo pienamente centrato.

Lasciamo Calheta e ci dirigiamo alla Cascata dos Anjos, una cascata che si tuffa sulla strada asfaltata; lì vicino c’è un bar su un bel promontorio, e facciamo una piccola pausa. Ma è solo metà mattina, così decidiamo di fare un’ultima levada: optiamo per la Levada Faja do Rodrigues, che si rivela una camminata piacevole, che si addentra nel bosco e attraversa qualche tunnel decisamente stretto (arrivati all’ultimo, che oltre ad essere così stretto da correre ad ogni passo il rischio di finire nell’acqua della levada, è lunghissimo, decidiamo di tornare indietro); ma dopo le altre levadas, che ci hanno stregati, la Faja do Rodrigues non ci colpisce particolarmente.

Da qui, però, decidiamo di gironzolare un po’ in auto nell’interno montuoso di Madeira, su è giù dai passi, per poi arrivare a Cabo Girao, una delle scogliere più alte del mondo, e al suo terrazzo con il pavimento trasparente. Lasciato questo vertiginoso view point ci dirigiamo alla cittadina di Camara de Lobos, dove finiamo dritti dritti in un bar-trappola per turisti (finora eravamo riusciti ad evitarli, amen), trappolone aggravato dal fatto che la barista è donna di rara antipatia.

Girelliamo per il paese per far venire ora di cena (quest’ultima giornata è lunghissima, continuiamo a fare esperienze ma non finisce mai!) e notiamo che, apparentemente, tutti i “marcioni” di Madeira, tossici e alcolisti, si sono dati appuntamento qui. Strano.

Dopo una cena a base di ottima carne convinco Giorgio, anche se siamo davvero stanchi, ad andare a Funchal per vedere i fuochi artificiali – finale di vacanza col botto! In realtà non sono bellissimi, ma i fuochi artificiali vanno sempre visti: è un assioma.

Stravolti, andiamo a dormire per l’ultima volta nel nostro Bat-alloggio. Domani mattina, dopo una sontuosa colazione nel bar di Santa Cruz, ci aspetta l’aereo per tornare in Italia.

Atè à proxima, Madeira!!!!