Sabato 20 Aprile: partiamo da Torino alla volta di Carcassonne, dove arriviamo nel tardo pomeriggio: ci fermiamo un attimo ad ammirare dall’esterno la città medievale che, abbracciata da una doppia cinta muraria, è davvero fiabesca; e faremmo bene a limitarci a godere della fiaba dall’esterno, perché, non appena varchiamo una delle porte d’ingresso alla città, la magia lascia il posto al mercato: ci troviamo a passeggiare nella classica cittadina per turisti, che ha svenduto l’anima chissà quanto tempo fa.

Carcassonne, Mont Saint Michel, San Marino… da fuori conservano la loro fisionomia originale, ma una volta che hai varcato le mura sono tutte tristemente intercambiabili.

Dopo una cena piuttosto deludente, ci ritiriamo nel nostro BnB: domani ci aspetta un lungo viaggio.

Domenica 21 Aprile

Lasciamo Carcassonne e giungiamo a San Sebastiàn verso ora di pranzo: parcheggiamo nei pressi de La Concha, la famosa e lunghissima spiaggia cittadina, e percorriamo il lungomare (mai aggettivo fu più azzeccato) fino a aggiungere la funicolare, all’estremità ovest della baia; decidiamo però di non salire, e torniamo sui nostri passi per completare la passeggiata che costeggia la spiaggia, passeggiata dalla quale si possono ammirare gli enormi disegni che alcuni artisti stanno tracciando sulla sabbia.

All’estremità orientale de La Concha si entra nel Casco Viejo, con le sue deliziose viuzze e piazzette ma, soprattutto, i bar che offrono i pintxos – la versione basca delle tapas: buooooooooniiiiiiiiiii!!!!!

Dopo un numero spropositato di pintxos, ci perdiamo nei vicoli della città vecchia fino ad arrivare a una piazza, la Plaza de la Constitución, attorniata da case che attraggono la nostra attenzione per il fatto di avere i balconi numerati: scopriamo così che qui si svolgevano le corride, e che il pubblico si accomodava sui balconi delle case tutt’intorno.

Ci piacerebbe rimanere a gironzolare ancora un po’, ma si sta facendo tardi e dobbiamo proseguire: San Juan de Gatzelugatxe ci attende.

Si tratta di un isolotto, davvero molto fotogenico, collegato alla terraferma da un ponte del XIV secolo; per raggiungerlo, una volta lasciata la macchina nel parcheggio, si imbocca il sentiero che scende ripidamente quasi fino al livello del mare per giungere, attraverso una scalinata, al ponte attraversato il quale si sale sulla cima dell’isola, fino al piccolo eremo.

Una volta qui, è tradizione suonare tre volte le campane ed esprimere un desiderio, e la folla, che oggi è quella delle grandi occasioni, non si sottrae all’usanza.

Non avendo mai guardato il Trono di Spade, che è stato parzialmente girato qui, non siamo in grado di cogliere i rimandi cinematografici, ma possiamo sicuramente confermare che questo è un luogo davvero affascinante.

Ci congediamo anche da San Juan per raggiungere Bilbao, dove non senza soddisfazione lasciamo l’auto in un garage pubblico e ci dirigiamo a piedi verso l’ostello: posiamo i bagagli e ci concediamo una doccia veloce.

E poi via, a cercare un posto che ci offra dei pintxos all’altezza di quelli di San Sebastiàn! Troviamo il dispensatore di prelibatezze sotto i portici, in uno degli angoli della bellissima Plaza Nueva: gli spuntini sono così buoni che decidiamo, seduta stante, che torneremo anche domani a pranzo. Adesso però siamo davvero stanchi, è ora di trascinarci in ostello per ricaricare le batterie…

Lunedì 22 Aprile:  oggi dedichiamo la giornata a Bilbao: prendiamo la metro 1, e ci dirigiamo verso il ponte sospeso di Bizcaia (o Vizcaya), uno degli 8 ponti sospesi rimanenti al mondo.

Attraversiamo il fiume prendendo posto sulla “gondola”, che ci carica insieme ad altri pedoni, a moto e financo a un autobus, e lo riattraversiamo sulla passerella a cui la gondola è appesa.

Non eravamo mai stati su un ponte sospeso, e devo dire che l’esperienza è interessante.

Gironzoliamo un po’ su entrambe le sponde del fiume, perché il luogo è piacevole e rasserenante, e poi riprendiamo la metro e ci dirigiamo nella città vecchia, perdendoci nelle sue stradine; dopo una puntata al mercato, che però oggi è chiuso e, privo com’è di bancarelle, perde molto del suo fascino, torniamo dal nostro fidato spacciatore di pinxtos; alla fine del pasto siamo satolli, ma ci lasciamo tentare dalla cameriera e così io ordino ancora dei pisellini che nascono solo lì e solo in quel periodo (buoni come i Pisellini Primavera Findus, ma costosi come diamanti), mentre Giorgio si lancia su un uovo di oca, esteso come il regno del Re Sole.

Rotoliamo fuori dal ristorante e andiamo ad ammirare il Guggenheim Museum (rigorosamente da fuori, abbiamo mangiato così tanto che ogni passo è una sofferenza); come il Walt Disney Music Hall di Los Angeles, è un edificio sinuoso e ammaliante, che attira un sacco di turisti.

Però fa caldo, il pomeriggio avanza, e noi dobbiamo arrivare a Leòn: si riparte!

A Leòn Giorgio ha prenotato in un albergo molto bello, proprio dietro alla Basilica, alla Collegiata e al Panteon di San Isidoro, un notevole complesso romanico che visiteremo l’indomani mattina, terminando con la visita all’annesso museo in cui è conservata una bellissima coppa medievale che si dice sia il Santo Graal (o meglio, uno dei tanti pretendenti a questo titolo).

Di certo c’è solo che il Pantheon di San Isidoro, con tutte le sue colonne e gli archi affrescati, è meraviglioso.

Ma non anticipiamo i tempi: adesso è sera, e noi ci concediamo un giro notturno per la città, ammirando i tanti palazzi storici disseminati nel centro.

Martedì 23 Aprile: per prima cosa andiamo a visitare la Cattedrale gotica, motivo della nostra tappa a Leòn: è sicuramente bella, così come belle sono le sue vetrate, ma non mi suscita particolari emozioni, al contrario di quanto mi sarei aspettata; recupero ampiamente, invece, con il complesso di San Isidoro.

Ed ecco che finalmente oggi arriviamo in Portogallo!

Proprio mentre passiamo accanto al cartello “Portogallo”, la mia macchina compie i suoi primi 10.000 chilometri: a farlo apposta non ci saremmo mai riusciti.

Sul passo che attraversiamo per passare dalla Spagna al suo vicino prendiamo una ramata di pioggia memorabile (e pensare che a Bilbao si moriva di caldo).

La pioggia ci accompagna fino a Braga, ma miracolosamente smette al nostro arrivo al Santuario do Bom Jesus; possiamo quindi salire la lunghissima scalinata terrazzata con tutto l’agio del mondo, per raggiungere il Santuario, lassù in cima (il santuario non è nulla di particolare, il pezzo forte è sicuramente la scalinata).

Per scendere decidiamo di approfittare della funicolare idrica, altra chicca che ho inserito nel viaggio pensando a Giorgio (tra ponti sospesi e funicolari idriche, un ingegnere non può che essere felice).

E adesso visitiamo Braga, con le case coperte di piastrelle colorate (non sono azulejos, sono proprio piastrelle di diversi colori). Facciamo un po’ di spesa per stasera, visitiamo il centro in lungo e in largo, io mi innamoro di una fontana con un drago alato, che mi ricorda il draghetto sputafuoco di Cracovia, e poi, mentre ricomincia a piovere, ripartiamo: destinazione Porto.

Arriviamo nella seconda città del Portogallo nel tardo pomeriggio, e cominciamo a passeggiare in direzione del fiume. Lungo le sponde ci sono le case colorate del quartiere Ribeira, ma la pioggia è così intensa che i colori non sono molto percepibili. In ogni caso decidiamo di attraversare il ponte di ferro Dom Luis I, per farci una impressione d’insieme: Porto ci sembra davvero una bella città, e non vediamo l’ora di visitarla per bene domani, magari con il sole.

Mercoledì 24 aprile: piove. Peccato, anche oggi non vedremo i famosi colori della Ribeira in tutta la loro vivacità, ma pazienza, usciamo alla scoperta di Porto.

Prima tappa la cattedrale, una chiesa-fortezza romanica che domina il Douro, e poi la stazione di Sao Bento, famosa per gli azulejos.

Per arrivare alla Chiesa e alla Torre de los Clèrigos passiamo davanti alla libreria Lello, famosa per essere stata immortalata in Harry Potter, e calcoliamo una ventina di minuti di coda; decidiamo di tornare dopo la visita alla Torre – che se fosse un giorno meno piovoso ci regalerebbe una splendida vista sulla città – e così toppiamo in pieno: al ritorno ci sarà almeno un’ora di coda, e sbirciando dalla porta vediamo che la libreria è completamente zeppa di turisti, per cui non sarebbe possibile osservarla con calma: decidiamo quindi di soprassedere, e, stando a quello che ci hanno detto in seguito amici che hanno deciso di immolarsi alla causa e visitarla, facciamo bene.

Siamo quasi completamente zuppi e si è fatta una certa, per cui ci dirigiamo al mercato coperto per mangiare qualcosa: anche questo mercato è piuttosto deludente, un mix fra il turistico e il fatiscente senza passare per l’affascinante, tanto che decidiamo di mangiare altrove.

Nel pomeriggio visitiamo la chiesa di San Francisco (che costituisce la definizione ostensiva di “opulenza”, così tutta completamente dorata com’è) e il palazzo della Borsa, con la sua spettacolare sala moresca.

Per chiudere in bellezza, riattraversiamo il ponte di ferro e ci dirigiamo verso l’altra sponda del Douro, per la visita a una delle cantine che producono il Porto, con le sue affascinanti, enormi botti.

Abbastanza alticci torniamo a casa, sempre sotto la pioggia (giornata coerente, questa).

Giovedì 25 aprile: oggi percorriamo la Valle del Douro, attorniata da colline ammantate di vigneti; la prima tappa è al Santuario Nossa Senhora dos Remedios a Lamego, molto simile al Santuario di Braga: anche qui, ciò che colpisce è soprattutto la meravigliosa scalinata monumentale (ma devo ammettere che io ho un debole per le scalinate, Caltagirone docet).

Ci fermiamo poi a Pinao, per ammirare gli azulejos della stazione, che sono forse quelli che ci sono piaciuti di più (anche più di quelli di Sao Bento).

Dopo un pranzo veloce, giungiamo al Parque Arqueológico do Vale do Côa: per scendere nella valle in cui ci attendono le incisioni rupestri incontriamo la nostra guida a Penascoa, e saliamo sulla sua jeep. Già il percorso di avvicinamento è entusiasmante per il panorama (finalmente, dopo esserci presi una grandinata in un punto panoramico, poco fa, ha smesso di piovere) ma poi ci attende una vera chicca: le incisioni rupestri sono interessanti, ma mediamente non ci scatenano passioni incontenibili, tranne una: una capra cui l’autore ha disegnato tre teste sovrapposte, a significare il movimento del collo: un cartone animato preistorico!!!!!

Si sta facendo sera, e riattraversiamo  il Portogallo da est a ovest per tornare verso la costa; ci fermiamo a cena in un ristorante a buffet lungo la strada, e arriviamo ad Aveiro che è già buio.

Venerdì 26 aprile: in una tersa mattina di sole visitiamo Aveiro, una cittadina lagunare con alcuni canali solcati da tipiche imbarcazioni coloratissime ed alcuni begli edifici Art Nouveau: qui Giorgio tradisce  il quotidiano pastel de nata, che costituisce la sua colazione portoghese, per provare un ovo mole, tuorlo d’uovo e zucchero dentro un’ostia, che però non sembra entusiasmarlo.

Terminata la visita di Aveiro (carina ma non memorabile) ci dirigiamo a Costa Nova do Prado, paesino che vanta due file (non di più) di casette a righe deliziose e fotografatissime.

Dopo pranzo raggiungiamo il convento-fortezza di Tomar, dove vissero i cavalieri Templari. Un complesso molto grande e bellissimo, da assaporare ambiente dopo ambiente, lasciandosi catturare dal fascino che sprigionano le sue pietre.

E dopo Tomar, il monastero di Batalha: non un edificio gotico, ma l’idea platonica di gotico, il gotico nella sua espressione più pura e perfetta, un luogo che si potrebbe ammirare all’infinito.

Dopo queste due gemme architettoniche qualsiasi edificio sarebbe deludente, per cui ci dirigiamo a Nazarè, per vedere le famose onde che attirano surfisti da tutto il mondo; non rimaniamo certo delusi: le onde sono davvero altissime,  io faccio un video e mi bagno un po’.

Ceniamo in un ristorantino nel centro storico, e poi andiamo a dormire nella vicina Peniche.

Sabato 27 aprile: al mattino gironzoliamo per Peniche, ne visitiamo il porto e guardiamo da fuori la fortezza; poi ci spostiamo a  Cabo Carvoeiro, per visitare le scogliere sul mare e ammirare i faraglioni, e nel tragitto ci fermiamo un paio di volte per passeggiare sulle scogliere a picco.

A ora di pranzo arriviamo al borgo di casette bianche e viuzze acciottolate, circondato da mura fortificate, di Obidos; per entrare nel castello che sormonta il paese, al momento sede del festival del cioccolato, ci chiedono una cifra esorbitante, per cui decidiamo di limitarci alla visita del borgo (e all’assaggio del tipico liquore di ciliegia, la gingjia, servito in bicchierini di cioccolato fondente: non male).

A metà pomeriggio partiamo per Lisbona, dove arriviamo abbastanza presto, per scoprire che l’albergo prenotato su Booking è davvero impresentabile (la nostra stanza non ha la finestra: non nel senso che è cieca, ma nel senso che non ha né vetri né serramenti, e quindi per avere un riparo occorre tenere le imposte chiuse; alle nostre rimostranze Booking risponde che nella descrizione della stanza non era citato il fatto che ci fosse la finestra – quindi occhio che nella descrizione del bagno sia citato il wc!!!! – e di conseguenza declina ogni responsabilità e non ci riconosce alcun rimborso).

Perdiamo quindi un bel po’ di tempo a litigare con il concierge, con Booking, fra di noi, e altrettanto per trovare una soluzione alternativa sostenibile, dato che sembra che tutti, quest’anno, si siano dati appuntamento in Portogallo.

Alla fine la troviamo, ma non siamo più dell’umore per una passeggiata serale, e dopo cena, immusoniti, ce ne andiamo a letto.

Domenica 28 aprile: eccoci a Lisbona, che iniziamo a visitare salendo su uno dei famosi tram che salgono e scendono dai suoi colli, un po’ come quelli di San Francisco.

Dedichiamo poi un paio d’ore alla visita dell’acquario, non grande ma molto bello, e del lungomare lì vicino.

Quindi saliamo sulla Torre di Belem (alzi la mano chi non l’ha fatto passando per Lisbona), e da qui ci spostiamo al Monastero dos Jeronimos, che ha una bellissima chiesa manuelina, ricca di elementi rinascimentali e gotici. Cerchiamo poi di prendere l’Elevador de Santa Justa, un ascensore del XIX secolo in ferro battuto, mettendoci ligiamente in coda; dopo 45 minuti siamo avanzati di circa un metro, per cui decidiamo di abbandonare l’impresa e salire in cima alla collina a piedi; scopriamo infatti che l’ascensore fa una corsa ogni 10 minuti, il che significa che, per smaltire tutte le persone prima di noi, ci vorrebbero almeno un paio d’ore. Peccato, ci sarebbe piaciuto, ma insomma non era mica la Gioconda!

Pranziamo al mercato coperto (che non ha nulla del mercato classico, con i banchi di vendita, ma presenta diversi localini che servono cibo da consumare ai tavoloni comunitari al centro della sala), un luogo molto piacevole, dopo di che continuiamo il giro di Lisbona un po’ a piedi e un po’ coi mezzi pubblici.

Alla fine di una litigiosissima giornata siamo d’accordo su una sola cosa: Porto batte Lisbona 1-0 (e l’abbiamo pure vista sotto la pioggia!!!).

Lunedì 29 aprile: oggi andiamo a Sintra, probabilmente la cittadina con la più elevata concentrazione di palazzi per chilometro quadrato al mondo. Abbiamo deciso che visiteremo la Quinta da Regaleira, tralasciando il Palacio Nacional, il Palacio dos Mouros e il Palacio da Pena.

Commettiamo però un errore madornale: manchiamo la deviazione (segnalata con un piccolissimo cartello mimetico) per la Quinta, e proseguiamo per la strada principale (chiamiamola così), che si avviluppa attorno al monte sulla sommità del quale sta appollaiato un incubo architettonico fatto da Walt Disney dopo aver mangiato pesante, ovvero il Palacio da Pena; più che tornanti affrontiamo gironi infernali, in una strada stretta, a senso unico, zeppa di automobilisti nervosissimi o totalmente imbranati o in alcuni casi dotati di entrambe le caratteristiche, una strada con rarissimi parcheggi presi d’assalto da torme di guidatori esasperati che così facendo bloccano il passaggio, mentre i microtaxi cercano di sorpassare chiunque incuneandosi in spazi improbabili.

Dopo aver perso eoni di tempo in questa amena collina, la cui discesa non si presenta più scorrevole della salita, lasciamo la macchina fuori dal centro e, dopo un pranzo lì vicino, ci dirigiamo a piedi alla Quinta da Regaleira (sono circa 3 chilometri, ma va bene così).

La Quinta è un edificio in stile prevalentemente manuelino, benchè costruito a inizio Novecento, con elementi simbolici e alchemici che, soprattutto nei giardini, si sprecano. La cosa che più ci è piaciuta è il pozzo iniziatico (architettonicamente simile al Pozzo di San Patrizio), nel quale si scende, per poi trovarsi in un percorso sotterraneo che conduce a un secondo pozzo, risalendo il quale si giunge ad un lago; a parte il simbolismo della ricerca e purificazione, è una bellissima esperienza estetica e anche un pelino avventurosa.

Terminata la visita alla Quinta, che dura tranquillamente una mezza giornata, raggiungiamo il Cabo da Roca, il punto più occidentale del continente europeo (a strapiombo sul mare, con un faro e un sacco di fiorellini, è un luogo piacevole, oltre che un must geografico).

Stasera ceniamo a Setubal, con il mio collega Ricardo e la sua famiglia.

La cittadina non ha nulla di che, ma Ricardo abita lì vicino e ci porta in un posto che fa il choco, la specialità di Setubal, ovvero calamaro oceanico tagliato a pezzettoni e fritto in una impanatura di uovo e pan grattato.

Dato che io non mangio molluschi e crostacei, chiedo a Giorgio: “Mica faranno solo choco?” “Ma figurati, sarà come in pizzeria, che mica fanno solo la pizza!”.

E infatti. Sappiate che nei locali che propongono il choco, propongono il choco. Punto.

E meno male che per l’occasione mi ero tenuta il pasto libero settimanale! Mi viene da piangere e da vomitare, e non so se più da piangere o più da vomitare. Per fortuna, insieme al choco, servono anche qualche foglia di insalata, così mi limito a brucare un po’ di verde, dovendo pure inventare qualche scusa fantasiosa per non urtare la sensibilità di Ricardo, fan sfegatato della prelibatezza setubaliana.

E’ comunque un piacere rivedere il collega portoghese dopo tanto tempo, e dopo cena andiamo ancora a bere qualcosa insieme; a mezzanotte ci salutiamo, e noi decidiamo di fermarci nel primo motel che troviamo sulla strada

Martedì 30 aprile: continuiamo il viaggio verso sud, fermandoci un paio di volte in paesini costieri tranquilli ma non memorabili; nel pomeriggio giungiamo in Algarve, alla Fortezza di Sagres, che offre un bel panorama sull’oceano.

Visitiamo poi Lagos, piena di turisti come Rimini ad agosto, e un po’ traumatizzati dal caos cui ci eravamo disabituati ci dirigiamo verso il residence – un’ora per capire dov’è, poi un’ora per andare nel paese vicino, nel ristorante che detiene le chiavi, attendere che qualcuno si liberi dal servizio e ci accompagni, e finalmente possiamo prendere possesso della stanza, ad essere sinceri davvero bella.

Mercoledì 1 maggio: dedichiamo il mattino al Percurso dos Sete Vales suspensos, un sentiero costiero che regala paesaggi marini entusiasmanti – a circa metà del percorso ci sono anche i faraglioni; unico neo il caldo torrido, che ci fa tornare alla macchina completamente disidratati nonostante il fatto che il percorso non sia più lungo di una dozzina di chilometri fra andata e ritorno.

Ci dirigiamo quindi verso Almancil, avendo come meta la Igreja de Sao Lourenco de Matos, che all’interno è completamente rivestita di azulejos: peccato che sia gestita dall’unico prete comunista rimasto in Europa, che ha appeso un bel cartello sulla porta: “chiuso perché oggi è il 1 maggio”. Molto bene.

 

Piuttosto delusi, volgiamo la prua verso nord e arriviamo ad Evora, dove ci attende una sorpresa: la festa del paese. Qui la proverbiale lentezza portoghese raggiunge vette inimmaginabili: un’ora di coda per una porzione di patatine fritte e una birra (e meno male che ci dividiamo per fare una coda ciascuno). Poi, avendo ancora fame, ci rimettiamo in coda per le patatine: un’altra ora. Ma la cosa più bella è che il gabbiotto delle patatine, che vende solo quelle, dopo di noi manda via tutte le altre persone in coda, perché ha finito i tuberi da friggere: e sono le nove di sera, non le tre dl mattino. Quando si è organizzati, si è organizzati.

Giovedì 2 maggio: per prima cosa visitiamo la bellissima cattedrale di Evora, con la sua terrazza sul tetto che offre una splendida vista sulla città e il suo affascinante chiostro; a poche decine di metri scopriamo poi il suo tempio romano, davvero molto ben conservato.

Ci perdiamo per le strette strade che si incuneano fra le casette bianche e ocra della città, e scopriamo la bellissima Università, fondata a metà del Cinquecento.

Visitiamo infine la Capela dos Ossos, che nonostante sia decorata da un numero sterminato di ossa e teschi è più bella che macabra – certo, il memento “Noi, ossa, aspettiamo le tue” spinge a un gesto apotropaico, ma la cappella di per sé non è affatto angosciante.

Dopo un pranzo che noi avevamo pensato veloce, ma che essendo in Portogallo non lo può essere, in una deliziosa piazzetta ombreggiata da alberi che abbiamo tutto l’agio di osservare con cura, in un ristorantino dove gli avventori siamo noi e una signora portoghese che dopo un’ora si alza e va a urlare contro la cameriera (ah, allora anche a loro saltano i nervi!), ristorantino che offre 5 piatti di cui 3 non sono disponibili, con una cameriera che alla fine fa innervosire pure Giorgio, che finora mi ha presa in giro, dicendogli che non possono accettare carte di credito straniere, dicevo dopo questo pranzo lasciamo Evora, che a me è piaciuta molto, e ci dirigiamo verso Castelo de Vide.

Viaggiamo nell’Alentejo, regione ricca di ulivi e in questo periodo dell’anno molto verde (sempre i nostri amici, venuti ad agosto, ci hanno detto di aver trovato il deserto), fino ad arrivare alla minuscola cittadina di Castelo de Vide.

Come promette il nome, il centro abitato è sorvegliato da un castello, che si può visitare liberamente fino a salire sul tetto; anche Giorgio si lancia nell’esplorazione, poi guarda di sotto e prontamente fa dietrofront. Abbandonato il castello visitiamo il borgo con le sue case bianche e i suoi roseti, le stradine in forte pendenza, le signore vestite di nero che attaccano bottone quando passiamo loro davanti… molto rilassante.

Ed infine giungiamo a Marvao, tappa finale della giornata, nido d’aquila su una collina solitaria, paese che potrebbe tranquillamente essere un paesino delle Cicladi ma protetto da una poderosa cinta muraria che si conclude con un castello che, arrivando quando ormai è quasi sera, è chiuso (ma solo nel senso che non si paga più il biglietto: il portone è aperto, e così entriamo e abbiamo un castello tutto per noi: che meraviglia!!! Anche la vista è impressionante, perché lo sguardo spazia per chilometri e chilometri tutto attorno.

La nostra stanza è bellissima, antica ed elegante ma di un’eleganza semplice, senza spocchia.

Insomma, Marvao mi rapisce il cuore.

Venerdì 3 maggio: mentre Giorgio termina di fare i bagagli faccio ancora un breve giro di Marvao, che non vorrei lasciare benchè si veda in mezz’ora scarsa,  poi mi rassegno e salgo in auto: la nostra destinazione è Segovia, a otto ore di auto, ma abbiamo deciso, dietro suggerimento di un collega spagnolo di Giorgio, di fare tappa a Caceres, molto vicina al confine e a Marvao.

Perdiamo un sacco di tempo per capire come arrivare e parcheggiare in centro, ma quando alla fine ce la facciamo siamo ripagati della fatica: questa città, ingiustamente snobbata dai turisti, è una vera perla, cui non dedichiamo il tempo che meriterebbe perché purtroppo è tardi.

La Plaza Mayor è uno spettacolo, e anche le altre due piazzette che si aprono dietro alla cattedrale.

Intuiamo che ci sono tantissime altre cose da vedere, e andarmene mi dispiace davvero, ma per lo meno un’impressione ce la siamo fatta.

Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Segovia, con il suo spettacolare acquedotto romano. Ma se pensavamo che questa fosse la sua unica attrazione (e già sarebbe valsa la pena di arrivare qui solo per ammirare l’acquedotto) ci sbagliavamo, perchè il centro storico è davvero affascinante: l’imponente cattedrale, che alla sera si colora di una luce dorata, l’Alcàzar, che più che un castello fortificato pare un castello delle fiabe, un sacco di belle chiese ed edifici ricoperti da piastrelle molto particolari…

E appena fuori della città c’è la Iglesia de la Vera Cruz, una piccola chiesa romanica a pianta dodecagonale fondata da Templari, purtroppo non visitabile ma molto molto carina.

Davvero una bella tappa.

Sabato 4 maggio:  dopo circa otto ore di viaggio raggiungiamo Andorra: facciamo circa un’ora di coda per passare la frontiera, per poi entrare in una valle che non sarebbe nemmeno tanto male, se non fosse che Andorra non è che un vastissimo centro commerciale diffuso (come mi aspettavo), dove mangiare e dormire risulta proibitivo, e fare acquisti (sempre che si trovi qualcosa di proprio gusto)